Alza le spalle con un sorriso gentile per la mia (originalissima) battuta sulla somiglianza con Peter Gabriel: “Lo so. Un vantaggio per i giornali, possono risparmiare sulle foto. Lo hanno fatto davvero, eh”. Indossa una maglietta dei New York Knicks. “Me l’ha regalata Gallinari”, mormora. Ha appese in corridoio una decina di chitarre elettriche: Gibson, Fender, una Pensa-Suhr serie limitata. “Progettata per Mark Knopfler”, dice a mezza voce. Quando andiamo al ristorante assieme, lui esce di casa così come lo trovo: in braghette. Diciamo pure che il suo concittadino Paolo Conte ha un altro tipo di profilo. “Oh, lui quelle poche volte che si vede per Asti fa certamente più sensazione”. Per sovrammercato mi spiega, sempre con quel mormorio molto piemontese, che qualche sera fa era a cena a casa dei De Gregori, e la signora ha chiesto a lui di suonarle una sua canzone, precisamente Angelina. Ora: il cliché dell’artista che non se la tira è stucchevole quasi quanto quello dell’artista che se la tira. Però Faletti, anche se dice di avere un ego smisurato, lo nasconde benissimo. Specie rispetto a gente che non ha avuto un’oncia del suo successo di comico e scrittore – e tutto sommato, anche di cantante, visto che è arrivato secondo a Sanremo (Signor Tenente, 1994). Tuttavia, anche se parlando con lui si salta da un argomento all’altro, raramente c’è confusione. C’è al contrario rispetto dei generi. Così come nei suoi romanzi non c’è comicità, nelle sue canzoni non ci sono umorismo né delitti. Perché Giorgio Faletti, con grande calma e tranquillità, fa quel che va fatto. E quello che sta facendo in questo periodo è uno spettacolo musicale. Ha pubblicato Quando e Ora, due album che contengono brani scritti per sé e per altri. Abbinati a Da Quando a Ora, libro in cui spiega il suo rapporto con la musica. E mette in scena il tutto con l’aiuto di fior di musicisti, tra i quali il più noto è Lucio Fabbri. Chi lo ha visto ne è entusiasta. Insomma, Faletti è un caso bizzarro, davvero. Perché Faletti piace. Qualunque cosa faccia, piace. E di questa cosa forse l’Italia non si è ancora fatta realmente una ragione. Proviamo a chiederla a lui.
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