Scritto da Marcello Rossi | lunedì, 12 gennaio 2015 · 2 commenti
Sospensione dell’incredulità, geometria delle idee, il Settecento come non l’avevamo mai visto: Barry Lyndon (1975) non è solo una delle vette artistiche più elevate dell’intera filmografia di Stanley Kubrick (New York, 1928 – St Albans, 1999), e nemmeno una delle pietre miliari della storia del cinema. A ben vedere, il lungometraggio è una delle opere d’arte più riuscite e significative del secolo scorso, in cui si intersecano pittura medio-tardo settecentesca inglese ed europea, letteratura anglosassone dell’Ottocento, fotografia sperimentale e cinema. Un phylum che, partendo dalle tele a olio di Thomas Gainsborough, William Hogarth, George Stubbs, Antoine Watteau, per arrivare ai lavori di Johann Joseph Zoffany, John Constable e Johann Heinrich Füssli, passando per il filtro letterario di Le memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray e un uso inedito del medium fotografico, ha fatto in modo di creare intorno a Barry Lyndon il mito secondo il quale le inquadrature sarebbero imitazioni di dipinti d’epoca.
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